venerdì 28 novembre 2008

Venezia Napoli e ritorno



Si fosse n'auciello, ogne matina
vurria cantà 'ncoppa 'a fenesta toja:
"Bongiorno, ammore mio, bongiorno, ammore!".
E po' vurria zumpà 'ncoppa 'e capille
e chiano chiano, comme a na carezza,
cu stu beccuccio accussi piccerillo,
mme te mangiasse 'e vase a pezzechillo...
si fosse nu canario o nu cardillo.
Antonio De Curtis





lo schizzo, forse più bello della tavola finita (come spesso succede!)


Pulcinella, d’altro canto, non è una “maschera” come le altre.
Un racconto tradizionale napoletano racconta:
Pulcinella sta ballando ed è allegro quando incontra una gallina, Cicerenella. Pulcinella la seduce e la monta, poi la arrostisce e sta per mangiarsela. Arriva Chirichichiò, il gallo, che riconosce la sua amata e vuole vendicare la sua miserevole fine. Chiama il suo amico Farfariello (che in napoletano è il diavolo); questi fa una “diavoleria” contro il responsabile Pulcinella. Quando Pulcinella mangia la gallina Cicerenella, la pancia gli si gonfia all’inverosimile. Il dottore, prontamente accorso, libera da sotto la camicia di Pulcinella un grande uovo che Pulcinella si mette a covare. Il guscio si apre e ne esce un Pulcinellino, poi un altro… sono cinque i nuovi nati che, appena fuori dall’uovo, già vestiti e con le sembianze identiche a quelle del padre (che è al contempo loro madre) si buttano voraci su un piatto di maccheroni. A Venezia, i maccheroni diventano gnocchi. L’alto cappello a cono tronco del Pulcinella veneziano, altro non è che la pentola per cuocere gli gnocchi, rovesciata e indossata a mò di copertura del capo, e sempre pronta per la bisogna.

(da Hetty Paerl, Pulcinella. La misteriosa maschera della cultura europea, Apeiron 2002)

Il nome (forse dal latino tardo pullicens, 'pulcino', usato nel senso di 'sempliciotto') sarebbe secondo alcuni da fare risalire alla voce chioccia del personaggio, o al naso a becco, o alla corruzione di un cognome diffuso a Napoli e dintorni, Pulcinello o Polsinelli.





mercoledì 26 novembre 2008

ZuppaZeta

Di zuppe di zucca ce ne sono tantissime. Io però questa volta ho calcato la mano sulla "Z": ci ho abbinato zenzero e zafferano.
Apparentemente biZZarra ma davvero buona! Garantisco.




300 gr di zucca mondata e tagliata a dadi
2 zucchine (se le ultime della stagione, altrimenti cardi, finocchi, rape o ciò che si preferisce)
2 cipolle bianche
1 cipollotto
2 cucchiai di olio extra vergine di oliva
2 spicchi di aglio
2 tazzine da caffè di lenticche decorticate (quelle arancioni)
1 cucchiaio di dado
1 litro di acqua calda
1 cucchiaio di succo di zenzero (grattuggiato e spremuto)
zafferano, un pizzico di stimmi

Rosolare dolcemente la cipolla nell'olio insieme all'aglio tritato. Aggiungere le lenticchie (lavate e sciacquate) e bagnare con metà dell'acqua e il dado. Far cuocere per 10 minuti. Unire la zucca con il resto dell'acqua, il cipollotto tagliato a rondelle e le zucchine a dadini. Cuocere ancora per 10 minuti a pentola coperta, o finchè le lenticchie sono morbide, quindi passare finemente al mixer metà della zuppa e riunirla al resto.
Intanto grattugiare e spremere lo zenzero. Unirlo alla fine, con lo zafferano (stemperato in un dito d'acqua tiepida), alla zuppa.
Cospargere con prezzemolo fresco tritato finemente.
Servire, a piacere, con pane integrale tostato.

Composto di giallo (=gioia) e rosso (=capacità di agire), l'arancione è il colore dell'ottimismo. Scioglie le tensioni, facilita la comunicazione e il buon umore. Questa zuppa arancione è dunque l'ideale per una cenetta tra amici, in queste fredde giornate! ;-)







martedì 25 novembre 2008

Neve


E si amarono l'un l'altro sospesi su un filo di neve...




“È bianca. Dunque è una poesia. Una poesia di una grande purezza.
Congela la natura e la protegge. Dunque è una vernice. La più delicata vernice dell'inverno.
Si trasforma continuamente. Dunque è una calligrafia. Ci sono diecimila modi per scrivere la parola neve.
È sdrucciolevole. Dunque è una danza. Sulla neve ogni uomo può credersi funambolo.
Si muta in acqua. Dunque è una musica. In primavera trasforma fiumi e torrenti in sinfonie di note bianche.”
Maxence Fermine


illustrazione di Roberta Cadorin per il Consorzio Belluno Centro Storico.

mercoledì 19 novembre 2008

La vita vuole vivere


Sono qui. Ammaccata, triste, preoccupata. Ma impagabilmente viva.
Consapevole che nulla possiamo fare per cambiare ciò che è stato, ma col dovere di provare a cambiare ciò che sarà.

Nel dolore è più facile sentire. Ed è più facile mettersi in contatto con quella parte di sè che solitamente tace e spesso non vuole saperne di parlare od ascoltare gli altri.
Non si necessita neppure di tante parole (queste mie, anzi ;-), sono già troppe!).

E allora dai: si ricomincia.
La vita vuole vivere, come diceva qualcuno... Grazie C.



lunedì 10 novembre 2008

L'ultimo volo


Ho qui il quadro che stavo preparando per te.
Aspettava, aspettavo... non so bene cosa. Tempo, ispirazione, calma...
Pensavo magari di riuscire a finirlo questo mese perchè tu lo potessi avere a natale.

Ora tu non ci sei più.

E forse io, ora, non so neppure riprodurre più l'azzurro dei tuoi occhi su un pezzetto di carta.
E' troppo tardi. Quell'azzurro si è già stemperato nel cielo...







mercoledì 5 novembre 2008

E chissà che sia diverso davvero...

"Verso un valore diverso"

Un'illustrazione vecchia, commissionatami tempo fa per un centro di accoglienza di immigrati, ripescata in questa giornata particolare, che sembra di svolta.
Chissà che non sia solo un'impressione...

P.s: grazie a tutti per gli auguri! La febbre se n'è andata velocemente, ma adesso da tre gg sono paralizzata dal mal di schiena. Di disegnare dunque, al momento, proprio non c'è forza...





lunedì 3 novembre 2008

Senza colori


Preciso ed efficace come un piccolo cavallo di Troia.
Colpita e immobilizzata come da un morso venefico.