Diman tristezza e noia Recheran l'ore, ed al travaglio usato Ciascuno in suo pensier farà ritorno. ...
Ma oggi facciam festa! Gli ingredienti sono: una manciata di donne, amiche e golose, i frutti appena colti a piene mani, qui, ancora caldi dal sole, occhi e nari ben aperte, una spolverata di chiacchiere, un pizzico di relax e prosecco q.b. Dolce cottura, a 27°, fino all'ora del tramonto...
È come un giorno d'allegrezza pieno, Giorno chiaro, sereno, Che precorre alla festa di tua vita. Godi, fanciullo mio; stato soave, Stagion lieta è cotesta...
solo qualche piccola eccezione cromatica, tra le presenze:
mani sozze e sguardo compiaciuto del ladruncolo
che spartisce il suo bottino con Cocò
Al rientro tra i monti, con 13°, vien subito voglia di invasettare luce e colori... Marmellata di pesche bianche, con vaniglia e scorzette di limone (la cuocio solo 10-15 minuti per non perderne colore e profumo, come qui). Quella dose che poi risulta sempre troppa poca per colmare un ultimo vasetto, è la dose esatta invece per farcire un torta. Una crostata, a modo mio: pesche e grani di pepe rosa Io ho appoggiato le bacche solamente in superficie, perchè in questa casa, con un bambino, si ragiona sempre per versioni che siano "con" e "senza", ma vi consiglio caldamente di testare l'accostamento in maniera più consistente. Trovare la bacca intera, ogni tanto, affondata nella marmellata, ho riscontrato fosse davvero molto gradevole al palato.
Grazie a Carola, per la dolce e succosa scampagnata, e a Monica e Lorenzo per quel prezioso q.b.!
In alternativa, un'altra torta semplice con le pesche qui.
Prendo a prestito le parole di Stefano Cagliano per intitolare il post di oggi. Ho ricevuto un commento allo scorso post (vedi qui) che mi ha fatto pensare... Soffermarsi a riflettere sembra quasi essere diventato un lusso, ma amo questo luogo anche perchè qui posso davvero concedermelo con i mei tempi. Una lettrice è rimasta toccata dalla foto dell'opera di Piero Manzoni, qui (di cui io reputo, tra l'altro, bellissimo e ancora attualissimo anche il packaging) e dalla mia citazione di essa, che ha trovato inopportuna, accanto ad una ricetta. Quell'opera racchiude bene la provocazione di Manzoni, nei confronti della generale esasperazione artistica ed estetica di quel momento storico. E' bastata una scatola a mettere in imbarazzo schiere di storici dell’arte, che non sapevano più cosa farsene del loro bagaglio critico. Pensiamo che dopo 50 anni, la stanno ancora esaminando ai raggi x per capire se Manzoni aveva fatto sul serio oppure no! Aveva avuto una idea furba, ma altrettanto geniale nella forma in cui aveva deciso di esprimere la sua intuizione. (buffa anche l'assonanza tra quella scatola, scatologia e l'etimologia dal greco skatos=sterco). Aveva compreso che poteva dichiarare apertamente e sfacciatamente che il lavoro dell'artista è lavoro d'intestini: l'opera d'arte è cessione di una parte di sè. Con quel gesto però, sottolineava anche la degenerazione e decadenza dell'arte moderna. Un dito accusatorio contro la riduzione dell'arte a merce.
Per parlar di cose meno dotte, vogliamo ricordare, invece, la bellissima canzone della meravigliosa Mina? "Ma che cos'è questa robina qua???" diceva.
Posso forse apparire delicata, perchè il mio blog parla di perle e colori, ma non sono perbenista. Sono una giocherellona ironica e, vorrei, anche autoironica. Quel mio "gelato" (per modo di dire) non è la meraviglia che si vede fotografata in tanti foodblog. E' color cacchetta. E' la mia cacchetta d'artista? Io non sono Manzoni, è chiaro (né Piero, né Alessandro). Ma perchè scandalizzarsi? Parlare di ciò, può essere pericoloso, d'accordo. Del resto Oscar Wilde sosteneva: "Un'idea che non sia pericolosa, non merita affatto di essere chiamata un'idea!" Ne hanno parlato Dante, Boccaccio, Rabelais, Rimbaud, Joyce, Molière, Pirandello, ecc. Perfino San Francesco ne scrisse, nei suoi Fioretti. I Maya pensavano addirittura che gli escrementi fossero divini. Alcune popolazioni primitive (noi siamo gli evoluti!?) li usano, seccati, come combustibile o ecomateriale da costruzione. Siamo un tubo digerente. Visti i tanti foodblog in rete e il loro successo, è un'evidenza. Perchè dunque indignarsi se si pensa che il cibo diventa altro? E' tema che trasmette repulsione e disgusto, ma è anche altro, appunto: è il prodotto del fiero lavorìo del corpo per restare vivo e attivo. Proprio col mio bambino stavo chiacchierando a proposito del fatto che comunque ogni cosa da noi prodotta, per quanto scadente, è nostra e va amata. I bambini la guardano con meraviglia, simpatia, curiosità: è qualcosa che viene dal loro interno ed è loro. Non c'è traccia di vergogna o di disgusto, anzi, è motivo di fierezza ed orgoglio. Ma è anche strumento di potere: i bambini se ne servono per affermarsi di fronte agli adulti. (Tralascio qui l'interpretazione freudiana che rimando a chi più preparato di me, ma che sarei bene felice di ospitare tra i commenti.) Ci sono schifezze che a noi paiono tali, ma non agli altri e viceversa. Comunque dal letame nascono fiori... e i fiori li mettiamo perfino nei nostri piatti, per abbellirli! Ribadisco, il mio gelato non è un'opera d'arte. Ringrazio però ancora Francesca perchè mi ha fatto piacere conoscere la sua opinione, regalandomi lo spunto per approfondire la cosa e per continuare a scherzare, parlando di cose serie.
Post disdicevole? Comunque tornerò presto a mostrarvi le mie perle. ;-)
Una mamma (macrobiotica) si adopera per produrre un dolce freddo da leccare e mangiare col cucchiaino. Forse non un gelato vero e proprio visto che non è a base di uova, latte, zucchero e addensanti vari, non è un sorbetto visto che contempla, sì, la frutta, ma non zucchero e alcol nè tantomeno un parfait perchè non contiene la panna.
Oh. E allora che èèèè? Facile esperimento da farsi senza gelatiera (son tanto pigra da non aver neppure voglia di tirarla fuori) e secondo la macrobiotica (e il comune buon senso) sicuramente da consumarsi preferibilmente con il gran caldo (come già detto qui ).
Sbucciare e congelare (avvolte in pellicola) tre banane mature, tagliate a pezzi. Congelare anche un vaso di yogurt di soia, meglio se versato in una formina per cubetti di ghiaccio, anzichè in pezzo unico (il mio, buonissimo, è naturale, non zuccherato, qui). In un mixer dalle lame robuste (il cui bicchiere pure sarà tenuto precedentemente in frigo), tritare velocemente entrambi, con un pizzico di vaniglia. Spatolare quindi un poco per dare la giusta cremosità. Riporre invece brevemente in freezer, qualora si fosse sciolto eccessivamente. Se si gradisce più ricco, mixare anche con panna di riso, precedentemente congelata. Se lo si desidera più dolce, dolcificare lo yogurt con malto o sciroppo d'acero (o succo d'agave o quello che volete) prima di congelarlo. Decorare a piacere scegliendo tra cioccolato fondente a scaglie, noccioline, buccia d'arancia, succo d'acero, una coulis di altra frutta (fragole, albicocche o pesche per esempio) o ciò che maggiormente aggrada.
p.s. ne ho fatto più versioni: - con altra frutta ghiacciata intera, come le pesche o le albicocche, - ghiacciando direttamente il frullato di frutta (preparato con lo yogurt o il latte di mandorla), oppure ancora utilizzando la marmellata fatta in casa di ciliegie o arance al posto della frutta fresca. In questo secondo caso, l'ho versato poi nelle formine da ghiaccioli, con stecco, o in quelle da cubetti per bibita a forma di stellina, fiore, pesce, ecc. Il latte va comodamente in freezer in quei sacchettini di cellophane che fanno i cubetti a bolle.
Questo post, grazie ai commenti, segue simpaticamente QUI
Ci sono a volte delle occasioni speciali da festeggiare... allora Cobrizo cerca d'impegnarsi a dovere: questa volta decora la carta con piccoli fiori, ed avviluppa i pacchettini. Lega un laccio bianco e fa un'asola attorno ad un perla.
Senza rendersene conto dà vita a questi, dal gusto un po' giapponese.
Inconsapevole Tsutsumi con Sakura.
Poi si mette a studiare un po'...
Se Sakura sono i fiori del ciliegio, Tsutsumi è invece termine giapponese che indica la complessa arte dell’impacchettamento: letteralmente la parola significa pacco, oggetto, dono e deriva da verbi col significato di avvolgere, coprire, come anche nascondere, tenere segreto.
Il senso di uno tsutsumi, dunque, per un giapponese è proteggere il dono avvolgendolo nel sacro, per offrirlo in segno di pace e armonia.
La tradizione di scambiarsi doni ha origine religiosa, più precisamente scintoista. Riso, sale, frutta, semi, ecc. venivano offerti agli dei per avere in cambio buona fortuna e salute, privilegiando materiali naturali quali foglie, cortecce, bambù, paglia, pietra, terracotta, carta per abbellirli.
L’utilizzo della carta era considerato un materiale sacro. Pare che la pronuncia degli ideogrammi che significano “Dio” e “carta” sia infatti omofona. Avvolgere nella carta corrispondeva dunque ad avvolgere col nome degli dei.
L’attenzione e il tempo che anche al giorno d'oggi vengono dedicati al confezionamento denotano dunque la preziosità e il valore simbolico del gesto, al di là del valore del regalo stesso.
L'idea affascinante del termine orientale è quella di proteggere il dono in materiali, forme e colori semplici, sottolineando il piacere estetico della contemplazione del pacchetto stesso, senza avere la fretta di strapparne l’involucro.
Basti pensare che anticamente alcuni tsutsumi realizzati per occasioni cerimoniali particolari non dovevano neanche aprirsi; era sufficiente sapere che al loro interno qualcosa rimaneva protetto al sicuro.
Da una scatolina fiorita, lo spunto per venire a conoscenza di quest'antica storia preziosa e seducente.
Dopo questi qui... riascoltando questa vecchia chicca (qui).
"When every step I takeLeads me so far awayEvery thought should bring me closer home... Every plan I've made'sLost in the scheme of thingsWithin each lesson lies the price to learnA reason to believeDivorces itself from meEvery hope I hold lies in my armsAnd there you standMaking my life possibleRaise my hands up to heavenBut only you could knowMy whole life stands in front of meBy the look in your eyes..."
porcellana giapponese ("Sometsuke",tipica decorazione blu ad ossidi di cobalto) e vetro (perle incamiciate blu con foglia d'argento)
Il caldo africano richiama aromi africani. Cobrizo opta ancora (vedi qui) per un'insalata fresca, ma questa volta profumata di cumino e coriandolo, che tra l'altro hanno proprietà digestive, carminative, antisettiche e antispasmodiche che d'estate non guastano. Ovviamente altre piacevoli insalate potranno essere declinate variando il cereale di partenza e la proteina (vegetale o animale) presente. Se userete le spezie intere, macinandole al momento, e le erbe fresche il risultato finale sarà senza dubbio migliore.
250 gr di orzo (oppure farro o kamut) 6-7 pomodorini 2 zucchine uno spicchio di aglio 2 cucchiaini di coriandolo + 1 cucchiaino di cumino pestati finemente nel mortaio (o più a piacere) un avocado maturo e morbido (o un mango) la parte verde di un cipollotto 300 gr di ceci lessati (o gamberoni) 2 cucchiai di olio extravergine d'oliva succo di un limone menta (o coriandolo o prezzemolo) sale
Lessare, scolare e raffreddare l'orzo. A parte preparare una marinata con un paio di cucchiaini delle spezie tritate, uno spicchio d'aglio schiacciato (che poi andrà tolto), un paio di cucchiai d'olio, il succo di mezzo limone (e, se gradita, anche la buccia grattugiata), sale e condirvi i ceci. Lessare a vapore le zucchine tagliate a cubetti non troppo piccoli e raffreddarle. Tagliare i pomodori a fettine e tritare il verde dei cipollotti. Assemblare l'orzo, con tutte le verdure e i ceci marinati. Sbucciare e tagliare delicatamente l'avocado. Spruzzarlo con il succo del mezzo limone restante. Unirlo all'orzo e cospargere con la menta tritata (o il coriandolo).
Servire con tè verde con menta fresca perchè “un tè senza la menta è come una notte senza luna”. (proverbio maghrebino)
Un amico mi omaggia di un cesto di meravigliosi lamponi. Alcuni se ne vanno a manciate, direttamente nelle fauci, dei restanti ne faccio piccoli muffins che nemmeno riesco a fotografare... Giacomo mi fa sorridere: -Mamma, non bisogna masticarli, basta schiacciarli con la lingua!- Il piccolo è un "sensualone". ... Le immagini sostano tra i pensieri, i sapori sospesi sulla lingua, i granellini tra i denti. Riprendo a lavorare, ma inevitabilmente vedo coulis e bavaresi di lamponi ovunque. Anche qui, in questi! ;-)
(la foto dei lamponi per gentile concessione della Cuoca Pasticciona)
semplicissimi, con agata rossa ed amo e minuteria in argento 925
Mentre ci mettiamo a snocciolare in tre (non vi dico come ci si può conciare) una cassetta da 6 kg di ciliegie, non c'è il tempo nè la voglia di organizzare il pranzo. Del resto la pancia è ormai piena di frutti rossi. ;-) Basterà dunque un'insalata di quinoa, così siamo a posto anche con le proteine!
il cuore di un cespo d'insalata due tazzine di caffè di quinoa un cipollotto rosso la buccia e il sugo di mezzo limone non trattato un pugnetto di alghe arame (per i loro sali minerali, d'estate un toccasana!) un mazzetto di rapanelli dell'orto una zucchina o due abbondante menta fresca olio, sale ed aceto bianco
In acqua salata bollente, addizionata con mezzo bicchiere di aceto bianco, tuffare per un paio di minuti le foglie dei rapanelli, quindi scolarle sotto l'acqua fredda. Cuocere, nella stessa acqua, la quinoa e le alghe per dieci minuti. A metà cottura unirvi il cipolletto tagliato a spicchi (solo il bulbo), e la zucchina a bastoncini. Scolare, raffreddare sotto l'acqua e lasciar riposare perchè si asciughi (meglio se stesa su un canovaccio, altrimenti in un largo colino a maglie fitte). Tagliare l'insalata a listarelle sottili. In una ciotola unire l'insalata, la buccia del limone a filetti e il suo succo, i rapanelli tagliati a spicchietti e le loro foglie scottate tagliate sottili, la menta spezzettata grossolanamente, olio e sale q.b. Unire infine la quinoa con le cipolle, le alghe e le zucchine. Lasciare riposare qualche minuto.